LA SATIRA DI ANTONIO CABRAS OFFICIAL.
Satira e Antonio Cabras vanno a braccetto. Per questo ho chiesto all’autore un’intervista con lo scopo di approfondire due aspetti delle vignette: umorismo e satira. Un viaggio che non è iniziato da qui ma d’altre Pagine D’Autore.
Da Instagram si scopre un profilo popolare, ma ti chiedo a freddo: umorismo o satira?
Il mio obiettivo principale è strappare la risata. Quindi direi senza dubbio: umorismo. La satira è solo un mezzo come un altro per arrivare al pubblico. È un mezzo da maneggiare con cautela, a volte può essere fuorviante. Ad esempio ho notato che spesso sono le vignette più nere, sconsolate e cattive a riscuotere il maggior successo. Questo perché fare “indinniare” il pubblico social è fin troppo facile. Farlo ridere è molto più complicato, ma da anche le maggiori soddisfazioni, considerando lo scopo di utilità sociale della risata.
Come hai iniziato a disegnare fumetti?
Praticamente da subito. Se mi ricordo bene avevo quattro anni quando realizzai il primo vero fumetto (si trattava di Paperino che aveva problemi con la sua 313, ero già fissato con le auto). Anche se a dirla tutta, la mia vera passione erano i cartoni animati. Difficile nascere all’inizio degli ’80 e non rimanerne travolti.
Quanto contano i social media per un fumettista nel 2020?
Direi ormai irrinunciabili. Anch’io opero esclusivamente tramite i social e debbo a loro glorie e miserie. Anche qui, il rischio è di avere una percezione della realtà assai distorta. Ho visto alcuni disegnatori considerarsi famosi solo basandosi sulle condivisioni o sul numero di followers su Facebook. Faccio un esempio pratico: io ho quasi 35.000 followers e migliaia di condivisioni, ma sarei un pirla se mi sentissi più noto rispetto a un maestro come Silver (il papà di Lupo Alberto) solo perché cura poco l’aspetto social e ha meno seguito. Il mondo reale è un’altra cosa, e purtroppo qualcuno non se ne rende conto.
Cosa ne pensi dell’auto pubblicazione (selfpublishing)?
Credo che ormai stia diventando, se non l’unica via, quantomeno una via obbligata. D’altra parte, se uno ha la stoffa, avrà di certo il suo riscontro.
Il “Topolino” ti scorre nelle vene? Bellissime le vignette con i personaggi disneyani, perché?
Mah, Topolino perché la vita è ciclica (come diceva Vico) e perché tutto torna, alla fine (come dicevano gli Offlaga Disco Pax). Da lì sono partito, poi sono arrivati Bonvi e Silver, poi Miyazaki e i vari manga, poi Moebius, Uderzo e Franquin. E alla fine ho riscoperto inevitabilmente il genio di Giorgio Cavazzano, che ha rivoluzionato l’universo Disney rendendo la mia infanzia decisamente più avvincente.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Troppi. Ma ne ho uno in dirittura d’arrivo: una parodia sul cinema anni ’70 (poliziottesco in primis), uno dei miei tanti pallini. Probabilmente piacerà al buon Marco Giusti, oltre che ai vari nerd miei coetanei. Spero diventi la mia prima pubblicazione cartacea, ormai sono due anni e mezzo che sforno vignette e i social cominciano ad andarmi strettini.
BIOGRAFIA
Nasce a Sassari nel 1980, conduce un’infanzia autistica e un’adolescenza lassamoperde, cerca di diventare una rockstar, si laurea in giurisprudenza, molla la pratica legale per disegnare a tempo pieno, convive con un ragazzo bellissimo da sette anni, possiede una Citroen 2CV bicolore, si circonda di animali (specie gatti), di alcolici e di Pocket Coffee. È stato pubblicamente attaccato da Matteo Salvini e più recentemente da Libero. Ma soprattutto, perché parla di se in terza persona? Cristo, quanto odia la gente che parla di se in terza persona.